domenica 17 gennaio 2010

FAI “COME SE”… E COSÌ NACQUE QUELL’EREMO



“Lo senti… che stanno parlando di te con la luce… particelle di energia luminosa per dire che sanno di te, ti conoscono e tu, così, sai che… sei sempre luce. In qualsiasi cosa fai e pensi, loro, i tuoi mandala di luce, i tuoi pensieri alti e le tue strutture intellettive, ti vedono sempre fantastica incantevole e eccezionale, tanto che non ci può essere niente di meno che la luce per parlare di te.
Io lo vivo questo e mi sento… amata.
Dal pensiero? Sì, il mio pensiero ora mi dice quello che il cuore già mi ha fatto sentire”.
Oggi ho viaggiato tra tanti impulsi, anche contradditori.
Di fronte al mio piccolo io, che pretendeva di tornare indietro, la forza dell’andare avanti prevaleva, sempre. Ad un certo punto qualcosa ha vibrato dentro me, una scossa lunga, sentivo delle sezioni della mia mente “cliccare”, non è stato brutto, forse un po’ insolito. Poco dopo quella parola… ebbrezza… lanciata a razzo dentro e sentirne l’emozione. Forte e bella.
Poi… le solite cose ma, che strano, un nome ed un volto s’affacciavano con sempre maggior frequenza, forse perché sono di nuovo in questo posto che io sento “carico di alimenti prenatali”.

Strano davvero, era come se il mio blog, questo, si stesse ri-aggiornando, da solo, si stesse ri-formalizzando. L’ho visto… qualcosa di intenso, pregnante… si può dire? lo dico… “appregnante”... non trovo altro termine. Una forza diffusa vibrava e attraversava, impregnava, di sé il blog. Intanto sempre quel nome e quel volto e, nella mia mente passavano immagini, ricordi, luoghi e persone.

Mi dicevo: “Ma perché, ma no… ma no, devo andare avanti, non guardare indietro!”.
Ma… Carlo tornava sempre più insistentemente e il suo eremo, Spello e il Subasio. Ma dico! Oggi pensavo di essere in altra tenzone, in altro gioco, invece ora mi rendo conto che oggi il gioco è stato là, al Giacobbe, sulla strada della Chiona… tra quei cipressi e quegli ulivi.
Solo che io, presa, direi distratta da quello che mi sembra il mio oggi… mi son vissuta questo stare in Umbria… a flash.

Ma io l’ho detto in un racconto: “È importante immergerci nel mondo dell’illusione e perderci in esso, così distraiamo questa mente che vorrebbe essere onnipotente. Le diamo un giochino: il lavoro, i figli, la casa da pulire, lo sport, la religione, le transazioni da seguire, lei si distrae e, mentre lei è presa dal teatrino delle cose del mondo, il nostro Sé Superiore agisce liberamente, pienamente e gioca la nostra parte più consistente e segreta con la vita”.
Mi nasceva dentro anche la polemica: “Ma perché parli di lui!” questa, ho capito, è una delle mie voci boicottanti e sabotanti, quindi.. non ci confliggo ma non ne tengo conto.

Ma, in fondo… perché no?
Non ho paura di alimentare miti… proprio perché non temo che, parlandone, si possano alimentare.
Perché non dovrei parlare di Carlo, date che… mi piace parlare di Carlo?

Innanzitutto mi rendo conto che… sto permutando un mio vecchio pensiero.
Subito lo vedo nel suo studio, “Sorellina!”… “Ti leggo le pagine che ho scritto stamattina” e raccoglieva tutti quei foglietti azzurri o verdi, scritti a mano. Leggeva con la sua voce modulata... quasi silenziosa… si può dire? Un paradosso. Sì perché quando Carlo parlava del Vangelo, o della preghiera o del deserto… erano parole di … silenzio.
(mamma mia stasera ho cominciato, quasi costretta da qualcosa, a scrivere questo pezzo, ora allo spuntare della parola “parola” capisco che era l’unica cosa che potevo fare)…
Parlava Carlo?

o… suonava, cantava, dirigeva una sinfonia di suoni che venivano da... da chi? da lui? Dalla parola che leggeva e commentava o venivano… da tutte quelle persone che stavano là, nel chiostro del San Girolamo, sopra Spello, ad incontrasi, re-incontrarsi, pregare, cantare… mangiare insieme?

Sì, i suoni, le melodie stanno nelle Parole della Bibbia che lui leggeva o spiegava e, soprattutto, stanno nella Parola attualizzata che ciascuno di noi, ogni giorno, è.
Zikkaron del Signore, memoriale che si riattualizza nel qui e ora... l’Uomo, la Parola…
Vedi un po’, archetipo È, lettera 5 dell’alfabeto, simbolicamente l’albero con le radici alla terra e i rami a ricevere dal cielo...

Ancora: l’uomo, radicato a terra e con le braccia al cielo a cantare l’hallel, ogni giorno.
Oggi mi sento religiosamente cristiana… non succede spesso, ma accade.
Tutto questo Carlo ce lo faceva toccare perché partiva da un caso della vita e ti portava nel deserto, o in città, la stessa cosa e poi ti diceva: “Sorellina, Fratello, fai come se…” fai come se il tuo giorno fosse il giorno del Signore.
Quello che ti accade è quello che ti serve oggi, prendilo tutto per buono e dacci dentro e poi… sappi che non è vero niente. Accogli gli eventi come se fossero veri, reali e, quando hai giocato te stessa in questo, lascia andare qualsiasi cosa... è tutta un’illusione. E sorrideva sornione.
Poi citava Charles de Foucauld e, quello che non era riuscito a destabilizzare lui, lo lasciva finire dal deserto che ti faceva sentire dentro. Poi, se ancora avevi qualche orpello, qualche propaggine dell’io che non ti decidevi a lasciare, ti invitava ad andare una settimana in eremo… Anzi, no, prima tu sentivi un’attrazione, un desiderio intenso di una di quelle casupole nascoste sulla collina e poi t’arrivava, chissà come, l’invito di Carlo.

Oh, che poesia! tra quelli ulivi! Tutta sola! pensavi ma poi… diventava davvero eremo e solitudine e quel… “come se...” ti entrava dentro e diventava talmente tuo che da là in poi lo applicavi a tutte le cose della vita.
Così che, ogni giorno ha sua occasione per… ricondurmi dentro me stessa.

Questo accade oggi e, la musica del parlare di Carlo… mi accompagna.

La stessa musicalità la esprimeva quando parlava delle persone, dei ragazzi che passavano per gli eremi. Di noi, reietti dell’anno sabbatico… persi tra freddo, fatica e paturnie mentali che faticavamo a mollare.
Quando ci chiamava la sera: “Andiamo a vedere le stelle!” e da buon navigatore di deserti ci indicava le stelle, le costellazioni. Le nominava, s’appoggiava a uno di noi, alzava il suo bastone, lo brandiva nel buio del cielo e citava: “Il Carro, la Stella Polare, le Pleidai, il Cane, Sirio…Orione… Cassiopea…” e ci portava lontano, apriva strade vaste e profonde nel cielo, possibilità, progettualità che poi, ciascuno di noi andava a scavare e ritrovare dentro se stesso.
Vedo… un mandala.. un gioco di luci. Vedo gli eremi sulle colline, le cucine essenziali di queste case di campagna.

... la cappellina del Giacobbe, del San Girolamo, del Getzemani, del Sant’Elia, dell’Abramo, con quella roccia … la casa sulla roccia.
La cappellina dell’Abramo era la stalla di quella grande casa; ha, ancor oggi, un buco tra muro ed esterno… perché di là una volta scendevano le galline per andare a nanna.

Vedo… la Madonna di Orlando, la donna, i suoi occhi grandi e azzurri, persi in se stessi, ovvero, nel cielo. L’ocra dell’incarnato per dire che… di terra, amorevole e feconda, si tratta.
Vedo… le colline... i quadri di Norberto e... tutti quei ragazzi, il chiostro affollato, la liturgia, la celebrazione della Parola.

Che ci è successo?

Abbiamo perso? Scordato? Criptato?... oh, sì, tante cose sono continuate, tante no, è naturale ma… la vita.
So che con Carlo non ho finito di raccontare, so che lui si troverà, qui nel blog, i suoi interlocutori. Come già ha fatto, d’altronde. Chi l’ha conosciuto, chi l’ha letto… chi ancora ricorda e torna a Spello. Chi non sa, chi sa altro e va bene lo stesso.

Oggi, per me, è… quella sera. Tornavamo dal San Girolamo, Carlo guidava il suo maggiolino.
Invece della solita strada ha fatto il giro lungo per la Chiona ed è spuntato sopra al suo eremo, verso quello che allora era il Sant’Angelo. Da lì al Giacobbe una stradina sterrata tra viti e olivi.
Buio, Carlo spegne i fari e noi a preoccuparci. “Adesso siamo nel deserto, e ci guidano le stelle”.
La macchina prende la stradina e… uno zampillare incessante di lucine ci viene incontro sul vetro. Lucciole, lucciole, lucciole… infinite, innumerevoli, incessanti. Buio e tante luci vive… che mandala di luci! Che serata!

Una strada di luci per arrivare dove?
Dove il sorriso era sempre gratuito. Era… è... sul nome.

Sì, il sorriso è sul mio nome, sul tuo nome, sul suo…e suo… e loro… era personale, unico, individuale il sorriso e ti raggiungeva dentro.
Il tuo nome è, innanzitutto, una parola, la tua Parola.
Oh, magari non te ne accorgevi né mentre eri là né per anni, dopo. Ma, un giorno, quando finalmente apri la porticina del tuo eremo e… la richiudi per proteggere te stessa e la tua casa interiore, là, sulla soglia… senti e vedi quel sorriso.

Il resto lo fa la Parola. Quella che conduce le sostanze, e può essere qualsiasi parola, non solo biblica, anche quella di un ragazzo, di un libro, di una canzone… di tuo figlio, di un amico, di un ricordo. Di solito accade con una parola che… sembra destabilizzi, sembra ti spiazzi e ti deluda… tu l’accogli, fai come hai imparato a fare là, in fraternità, nel deserto, in eremo, a giocare, a fare i grandi, a fare “come se…”.

Accogli quella parola che ti sembra sbagliata, la lasci essere, agire, dire la sua anche se “sembra che la dica al contrario di ciò che a te serve”.
Invece, proprio quella parola, in quel momento diventa… quella voce armonica e sicura che ti chiama “Sorellina!” e che, bonariamente ma rigorosamente, ti ri-conduce dentro te.
Ti riporta dentro la tua casa. Lasci il “come se” e, chiusa la porta, ritrovi la via delle stelle…
e sai che nel tuo mondo interiore ti puoi avviare con fiducia.

Emma

Spello, 6 maggio, 2009

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