domenica 17 gennaio 2010

EMME YA



la Parola è l’autrice di questi brani.

Parola qui, quasi silenziosa, poco appariscente, che vuole essere cercata,
come in una caccia al Tesoro


EMME YA

Per il popolo dei dogon emme ya è "il sole delle donne" o il "piccolo sole", ed è la terza componente del sistema Sirio, precisamente chiamato Sorgo-femmina.
Inciso:
"Ciò che è dentro è come ciò che è fuori e ciò che è fuori è come ciò che è dentro, per realizzare le meraviglie della cosa UNA"
da La Tavola di Smeraldo


vedi indice...

I PUNTI FERMI



Sopra Vittorio Veneto c’è una montagna che si chiama Pizzòc. Mio padre aveva là un pezzo di terreno: erba alta, felci, sassi, roccia… fragoline, stelle alpine, crotus… viperette…insomma, montagna.
D’inverno, con la neve è un incanto, d’estate… tutto un gioco.

* Accade, molto raramente ma accade…
Ricordo una primavera, una distesa di crotus. Un manto di velluto verde incastonato di viola, azzurri, gialli, tutte quelle testoline accese, ritte e immobili per regalarmi tale visione.

Oppure i lamponi o le fragole, ma quelle piccoline, vere, profumatissime e gustose. Certo, sempre con quell’ossessione della vipera sotto il sasso… ma la voglia di fragole vince.
E così, mi siedo, basta allungare il braccio, e raccogliere quanto voglio.
Un giorno ho pensato anche agli altri... così ho riempito un bel bicchiere di fragoline per portarle a mamma… poi il sentiero era accidentato e le fragoline zumpavano dicono i miei figli, le stavo perdendo così, piccolo sacrificio, mi sono fermata e… me le son mangiate tutte! almeno non le avevo raccolte invano…

* Accade, molto raramente ma accade…
Mi inoltro nel sentiero, esco dal bosco e continuo in questa montagna aperta tra sterpi e rocce, tra muretti di sassi posti a segnare i confini, oggi innocui e non più contesi, di poderi e proprietà… cammino sotto il sole e il cielo azzurro.
Spunto sul “davanti” del monte, ossia dalla parte che dà sulla vallata: Vittorio Veneto, Conegliano, il mio paese, tanti paesini, tanti campanili, i fiumi. Mi giunge anche il suono di qualche campana e questo mi fa avvertire il quotidiano, il presente di questo momento.

Accade… guardo diritto davanti a me, in fondo e ho davanti… Venezia.
Sì! Venezia! E, siccome oggi accade fino in fondo… individuo nitidamente: il Canal Grande, Piazza San Marco, il campanile, l’isola di San Giorgio…e la città.
L’Adriatico, le isole, la laguna, i sestieri.. ecco la Giudecca!… sposto lo sguardo: Marghera e i suoi vapori…Mestre… la campagna veneta. Che potenza! Che emozione!
Ma va!... sono circa cento chilometri!

Ti dico di sì.

Adesso immagina tu e… senti… senti ciò che sento io… che cosa ti attraversa davanti a tale visione.
Mi dico solo: questa è la vista che io voglio per me stessa e per tutte la cose del mondo, sempre.

* Accade, molto raramente, ma accade…
La sera del cinque gennaio, nella campagna veneta, è la sera del panevìn.
Arrivano i Re Magi, vengono ad onorare Dio tra gli uomini, portano regali da re a Gesù Bambino, anzi... ai Gesù Bambini. Bisogna indicare loro la strada… le strade! Ed ecco, nel cortile di ogni casa di campagna, al panevìn.

La tassa de fasine, quele che vèn scharpì le vide... qualche covertòn vecio… e la campagna s’illumina di mille e uno falò, e tutti atòno a cantar panevìn e a magnar la pìnza. È gennaio, se t’avvicini troppo ti scotti, se t’allontani senti freddo e così sta danza vicino – lontano, mentre le donne fanno le previsioni sull’anno che verrà in base a come vanno le faville… le moneghe. Si canta, si prega.

Accade… ti trovi non nella campagna, ma lassù, sul Pizzòc o sopra Vittorio Veneto e guardi la vallata… la vedi?
Vedi i mille e uno falò accendersi in tutto quel buio? Sembra un tracciato, una trama, una costellazione. S’è ribaltato il cielo! E le stelle brillano, s’accendono, s’alimentano, guizzano, s’espandono al canto del cuore degli uomini… qui!… sulla Terra!

Vedi? Senti? Senti!… ecco, una scossa ti attraversa la schiena… oh, la vita!
Mi dico solo: in ogni mio buio anche il più profondo buio… ho sempre sentito e sento le stelle e il canto degli uomini, delle donne, dei bambini.

* Oggi… oggi è un incanto. Sta accadendo!

Sono qui, appena sopra questo paesino del Tirreno. Plano, sì, questa strada che mi conduce in alto mi regala visioni: il mare, l’azzurro che si espande sempre più davanti a me.
Sento la forza di questa immensa distesa d’acqua, dei suoi colori, del suo suono silenzioso e possente, il brivido della sua profondità e vastità.

La forza della sua sicura e gratuita presenza nei miei giorni e, là in fondo… precisato all’orizzonte da un filo di fumo, lo Stromboli.
Vicine le isole: Panarea, Vulcano… Lipari…
Sposto lo sguardo più giù: un cono, l’Etna e la sua neve, il suo adagiarsi sulla Sicilia.
Ma va!

Vieni! Guarda! meglio… osserva, ammira, contempla… senti… il profumo delle zagare, la brezza tiepida, senti… l’emozione…

Oh, la vita! Vale la pena viverla!


Sono occasioni… accade… non puoi programmare questi eventi. Accade a te, a me che, chissà perché, oggi mi trovo qui. È il momento, il presente. Potevo essere da tutt’altra parte. Oggi sono qui.

Ecco: prender la vita così, ovvero è la vita che ti prende... tu assecondi una serie di coincidenze. Lasci fare agli eventi o... al meglio di te stesso che t’ha organizzato questo palcoscenico?
Questa visione? Che, oggi, ti chiama a contemplare tali bellezze?

Lascio fare… e la vita mi riempie di luce.

Emma

17 aprile 2009

MAMMA … ODORA… DI SANA PAZZIA



Essere conosciuta dall’altro da me, più che da me stessa.
Emma scoperta… messa a nudo.
L’attrazione… non sono io che attraggo. Sono attratta ma non in qualcosa di scontato, ovvio, stereotipato, ovvero già vissuto, ma perché l’altro ha una Parola, un Nome di me che io posso conoscere solo se “sto” alla comunicazione con l’altro.
“Essere guardata” e ne sono consapevole, nell’atto di “sentirmi guardata” qualcosa esala… qualcosa stilla… da me.

L’essere guardati attiva, sprigiona, una sostanza, un “fluido” un genere di “acqua” trasparente e luminosa, è… eros.
È forse questo il divino? Allora il divino… è vivo! Comunica, da dentro noi stessi, con molto più che le sole parole o le sole… benedizioni. Ovvero, il divino, che sta in noi, siamo noi, si manifesta… in sostanze, alla fine in… carne, psiche, anima… l’uomo, la donna, il bambino, tutti gli esseri dell’universo.

Intravedo qualcosa della condizione creatore-creatura. Come facciamo noi da quaggiù dove ci siamo inabissati, a renderci consapevoli di ciò che siamo nel nostro “essere creatori” di noi stessi e dell’altro (per quella “parte” in cui l’altro è parte della nostra creazione, che, l’altro ha tante altre parti di sé indipendentemente da me, come io, d’altronde).
Avverto “l’appartenenza”, ma con un’accezione nuova. Io, che ho sempre allontanato da me questa condizione.

Questo è l’eros, che è condizione-appartenenza sempre vitale e propositiva tra il creatore e la creatura.
Noi e tutti gli esseri che creiamo, noi e tutti gli esseri da cui siamo creati.
Il “guardare”, il “lasciarsi guardare” crea… l’attrazione.

E l’appartenenza, forse l’unica appartenenza possibile e accettabile, come la condizione madre-figlio, che sa lasciar andare sempre il figlio, altrimenti non si conoscerebbe, lei, la madre, nella sua stessa libertà e autonomia, nella sua grandezza.

L’attrazione genera una sostanza… lo vedete lo stelo d’erba luccicare nel prato alla luce del sole?
Lo vedete il tremore del ramo di ginestra attraversato dal calore giallo che illumina ancor più il suo colore?
Lo vedete lo scoiattolo danzare tra i rami? Per chi danza là tutto solo nel bosco?
Per nessuno, diremmo noi… invece egli fa una meravigliosa danza perché sa - che - sempre - “è guardato”, sempre egli “si lascia guardare” e questo “essere guardato” accende in lui la danza vitale.

Noi… anche quando crediamo di dare qualcosa… sono gli altri che ci stanno regalando più di qualcosa, ci regalano a noi stessi, perché, solo guardandoci, risvegliano in noi la forza vitale.

Ritrovo, al bivio di questo mio dire, gli archetipi… alef, bet… L’unità, il Tutto e in bet, la capienza. Bet accoglie tutto alef. A questo punto noi non esisteremmo… ma, in ghimel, terzo archetipo, tutto si mette in movimento…

In tanti modi hanno chiamato questa triade: Iside, Osiride, Horus… Brahman, Vishnu, Shiva… il Padre, il Verbo, lo Spirito… preferisco andare oltre ogni deificazione… stare alle “funzioni” alla realtà nuda e cruda, la sola, sempre vera.
Ghimel è… “guardare”, mette in comunicazione le nostre due dimensioni dell’essere Tutto ed essere sempre pronti ad accogliere il Tutto in ogni sua nuova manifestazione…, ghimel… infatti.
Da dalet, quarto archetipo (solidità) in poi, la vita e l’amore prendono infinite forme ed espressioni.

Emma

18 aprile 2009

DALLO SCOGLIO AL… CIVETTA



Terre, cieli e mari.

Oggi va così. Per scogli.

Sì, mi sono avviata per la solita passeggiata sul lungomare ma, troppo affollato, bisogna cercare altri ormeggi, far planare lo sguardo su altri tratti di spiaggia e di mare.
Si va a destra, immaginando di tracciare un nuovo percorso ed un nuovo momento con nuovi compagni di viaggio. È così per me, mi piace scegliere ogni volta chi voglio accanto a me a scrutare il mare, a chi dire col mio fare stupito: “Guarda… guarda!”. Chi voglio insieme a me, oggi, per contemplare il mare?

Oh, oggi la mia mente e ancor più il mio desiderio sono in letargo, strano, ebbene mi inoltrerò sola in questo nuovo tratto di spiaggia.
Alzo anche gli occhi al cielo e mi ricordo di un gabbiano che, forse viaggia in alto in alto, “Buon giorno, signor gabbiano… è vasto il cielo, azzurro e profondo… buon viaggio!”.
Laggiù, qualche pescatore… voglio la solitudine! il mio silenzio!!
Decido, lascio la stradina e punto sugli scogli.

Cammino spedita sulla sabbia, ecco iniziano le pietre, scelgo di saltare tra le più grandi, quelle più esposte all’acqua e ai flutti, quelle più spigolose. Perché? Non so.
Mi inoltro tra rocce e acqua che s’infrange. Ormai sono oltre la spiaggia, verso il largo dove le pietre sono grosse, a volte lontane tra loro, ancora ricoperte di questa sottile ed insidiosa alga che le rende scivolose. Sono state molte le mareggiate, spesso tutto era sommerso dalle onde.
Mi prende il gusto del salto, dell’instabilità del passo, dell’incertezza dell’appoggio e continuo. Sono presa ora, dal percorso, devo stare attenta a come appoggio il piede, a spostare con saggezza il peso del corpo, a scegliere il punto in cui il sasso non è bagnato, dove c’è un piccolo pianoro. C’è l’acqua tutt’intorno, a volte profonda a volte no ma… non mi va di finire in mare.
Ormai sono circondata d’azzurro, sento il suono dei flutti, parla il mare, sussurra, seduce.

Continuo, voglio la pietra più esposta, il pizzo più a picco… m’arrampico, uso le mani, il busto, le ginocchia. Fatico, scruto il possibile passo, giro, discrimino, scelgo. Oppure mi butto, faccio un balzo, devo trattenermi vado troppo veloce e rischio che la spinta del corpo mi faccia perdere l’equilibrio. Piano, piano! è come… come quando andavo per le rocce, lassù, sulle mie… montagne.

Sì, è vero… stessa tensione, stessa accortezza, stesso scegliere o rischiare, e faticare, col respiro lungo ma le visioni, le estensioni all’orizzonte… mie! caparbiamente conquistate.
Arrampicare, usare piedi e mani, corpo, occhi, cervello… respiro. L’attenzione, la centratura ad ogni passo. Ricomporsi, ritrovarsi, ri-fare il centro e la forza e la determinazione. Ritrovare il respiro, vedere, guardare l’abisso, ora acqua.

Sentire il brivido di quel ghiaione freddo, nebbioso e grigio, insidioso e pur accattivante, ora… sentire i flutti sfacciati… che non han paura dell’acqua, delle profondità... che mi sfidano.
Ecco! Ho ritrovato il mio mondo dell’impresa, dell’avventura, della fatica amata, incantata.

Oggi… sul Civetta: Coldai, Tissi e Vazzoler poi, scenderò tra i mirtilli.
Il mondo della sfida, mia, solo mia con la natura forte e severa. Quella che mi entra nelle vene, che mi fa sentire una con lei, dove sento il fremito tra me e me stessa, attraversata dall’aria, dal freddo o dal calore del sole che picchia. In fondo, è con i mari i cieli e le altezze dentro me che sto facendo i conti…
Continuo, sempre più verso ciò che è difficile, che impegna, il gusto della vincita. Qui mi piace essere vincente, arrivare qui, nel punto più estremo dello scoglio, nel punto più alto del monte, nel tratto di roccia più impervia.

Qui. Io “sono”. In fondo al mare o in alto, “pur umile… ch’è il monte che è alto”.
Ancora, avanzo, salto, arrampico, avverto il corpo spostarsi, aspettare, spiccare, forzare e faticare, imparare, pazientare, sapere… ascolto il mio corpo, lui sa quando può affrontare la prossima sfida, la prossima conquista, la pietra più in là. Un pensiero mi attraversa “se uno non si sperimenta sulla roccia, o in fondo al mare, non può saper fare l’amore”.
E una serie di pensieri attraversa la mia mente. Mi fermo un attimo, sì, è così, ma ora qui c’è di più del mio pensare, c’è la vita viva.

Sono al largo e mi fermo. Là, sotto di me l’acqua che si frange. Le rocce son tappezzate di lumachine di mare, di ricci. Vedo, bellissimi, rossi, e che rosso! dei giovani ricci di mare, attaccati saldamente alla roccia, che intensità! Mi sovvengono le stelle alpine…
Non si toccano né queste né quelli, come quando bambina lasciavo ciclamini, stelle alpine e rododendri… alla montagna.
Ora sto, protesa verso l’azzurro… tutto può aspettare.

Lascio che le visioni e i ricordi fluiscano in me, si intersecano e si sovrappongono immagini di monti e di mari, di greti di fiumi, di spiagge assolate, ghiacciai e timorose nuotate al largo.
Il respiro si fa profondo e l’essere uno con la natura trova dentro me una canzone che mi regalo.
Lontano la voce di un bambino… riprendo i miei salti verso la spiaggia.
Cammino spedita sotto il sole, mi giunge il pensiero di un gabbiano… talmente ero presa e centrata sul mio arrampicare tra gli scogli e le vette che… ma forse il gabbiano scrutava gli scogli…

Emma

25 aprile 2009



“COME SE…” IL MANDALA DI LUCE


La città si dipana laggiù in strade e rioni, poi s’arrampica sulle colline e il verde pian piano domina la scena.
Dall’altra parte c’è il mare, lo so, una virata e la scia bianca e imprecisa sulla spiaggia s’allontana, a delimitare quello spazio impermanente tra terra e acqua.
La scia si fa sempre più sottile, un’impennata ci solleva in alto.

Chiudo gli occhi, non voglio vedere le hostess e i loro gesti, affido la mia vita.
Solo un respiro accanto a me, è quanto mi basta sapere.

Mi sento mia… solo di me stessa e so che qui, questa mia appartenenza è salvaguardata.
Chiunque sta accanto a me deve essere così, solo di se stesso.
Le hostess hanno finito, potrei aprire gli occhi, volgere lo sguardo, parlare, organizzare qualcosina tipo: libro, musica, la comunicazione. Oh, no! Qui non ci sono regole per cui: mi permetto questo stare con me stessa, e non essere sola, quanto voglio.
So che non mi raggiungerà nessuna domanda o interferenza o curiosità… eppure so che sono guardata, osservata, custodita, curata.

Così voglio le cose: pure, nitide, essenziali. Voglio respirare, profondamente, in tutto.
Anche le piccole cose come partire per un viaggio.
Il massimo della presenza silenziosa.

Esserci, sentire di esserci, sentirlo così tanto che… è superfluo comunicarlo.
Anzi, dirselo, abbassa la portata di questo abitare sulla Terra.
Se sono tornata, se siamo tornati… è per brillare, per essere stelle.

Così il viaggio è mio, solo mio. Suo, solo suo.

Oh, viaggiamo sempre così, tutti, ciascuno nella propria astronave, soli e illimitati.
Tocchiamo stelle e galassie, ciascuno per conto suo, e sai perché?
Perché, perché, quando siamo partiti da lassù, o è un quaggiù? o un dentro? un tutto e dappertutto? abbiamo lasciato ben aperta la porta verso l’infinito.

Quindi noi due, stavamo là, ancora ci stiamo.
Come faccio a dirlo? Ehhhh… basta guardare come legge le mie poesie, come mi sta passando lo zucchero per il caffè.
Stavamo, stiamo in tanti qui, nella nostra galassia, balliamo, cantiamo.
Ma… io volevo… giocare.

Così mi sono guardata attorno, ho acceso un po’ di antenne, ho lanciato un “bip bip”, “joco joco”… “joco joco!”…
E continuavo la mia danza là, tra la polvere di stelle.
Era una scia il mio “bip bip” tanto che… ad un certo punto, qualcuno pattinava, volteggiava, danzava, accanto a me.
Sì, è così, come adesso che siamo qui, su due seggiolini di un aereo a continuare il canto e la danza.
Ma io volevo un gioco… piccolo piccolo, criptato e nello stesso tempo, potente.


- Ce l’ho dentro il gioco, vuoi sapere com’è?
Immagina un quadrante luminoso, tutto colorato. Hai presente un… mandala di luce?
Il mandala di luce è un pannello di bronzo, oro, anche ferro o rame, tutte cose che trovi tra le stelle. All’interno ci sono tanti tasselli di luci colorate. Ti metti vicino al mandala, lui s’illumina e le sue luci cambiano in continuazione, sembra che ti parlino, ti suonino qualcosa.

Il bello è che se ci vai davanti, al mandala, lui sprigiona una serie di colori con un certo ritmo, una certa tonalità lui, in quel momento parla… con te! E forse parla di te…
Sì perché che ci vada tu davanti al pannello, o ci vada un'altra persona, i colori cambiano! Cambia la risposta. Insomma ti incanta, ti prende; t’allontani e torni indietro, fai un gesto, una parola, un respiro e il mandala saltella di luci, risponde veloce o lento… dipende da te. Poi improvvisamente, una sequenza di luci nuove scorre, parte da un pannello e attraversa tutti gli altri, allora sai che ora stanno parlando tra loro, si stanno resettando su quello che tu hai detto e, prima di dare la risposta a te, si consultano. Lo senti… che stanno parlando di te con la luce… particelle di energia luminosa per dire che sanno di te, ti conoscono e tu, così, sai che… sei sempre luce. In qualsiasi cosa fai e pensi, loro, i tuoi mandala di luce, i tuoi pensieri alti e le tue strutture intellettive, ti vedono sempre fantastica incantevole e eccezionale, tanto che non ci può essere niente di meno che la luce per parlare di te.

Io lo vivo questo e mi sento… amata.

Dal pensiero? Sì, il mio pensiero ora mi dice quello che il cuore già mi ha fatto sentire.
Oh, che piedistallo di cristallo il mio!

Ecco, sono presa, esco dalla porta e tutto tace, le luci si smorzano. Rientro e tutto mi fa festa, i mandala s’illuminano per me!… capisci? altra vibrazione, altri colori, altra musica! Per me! È l’incanto. Comincio a girare, a solleticare le loro… mie parole magiche, fatte di colori e suoni, perché so, a questo punto che, essi stanno parlando con me, stanno parlando… di me.
E, da dove mi può venire tanta luce così “una” con me? L’improvvisazione di una vibrazione e di una risposta, per me, sempre nuova e avvincente… una luminosità così armoniosa e mia se non dalle… mie!… stelle!
Da ciò che sono... dentro di me!

Di più, sono io che parlo a me stessa con il linguaggio… delle stelle!
Qui, volevo arrivare, io.

Ora lo so. Oh! che giro lungo ho fatto tra compagni e compagne di viaggio per arrivare qui a chiacchierare con le mie stelle! Ora, sai che voglio fare? la porterò fuori di qui questa danza di colori e suoni, ora questa magia la voglio ritrovare e giocare... nel mondo!
Così, improvvisamente, il quadro luminoso si accende davanti a me, per me, grande e vivo, e mi parla con le sue luci… risponde al mio ultimo, per ora, Pensiero.
Parole di luce, di suoni ed armonie, parole… di stelle!

Sono parole intense, vive… profonde.

Ma non pensare ad una profondità sul “significato” come siamo abituati a coglierlo nel mondo di fuori.
Queste parole delle stelle hanno una loro profondità “fisica”, “spaziale”.
Le parole vanno dentro dentro. Dentro me? dentro chi? Dentro se stesse, avvolgendosi in me. Solo allora io le posso “sentire”, “ascoltare”, “toccare”, solo dopo che esse hanno conquistato un territorio in me, si sono sprofondate, impiantate, lunghe e profonde in se stesse dentro la mia carne e il mio pensiero.

Allora il loro parlare è un “risuonare” un distribuire potenzialità e significati che sono spaziali, temporali, sono forza, sostanza... parole che sono agire, fare, costruire, creare.
Mi vengono in mente i semi venuti dalle stelle… e al solo pensare questo, mille tempi, spazi, storie, conoscenze, spalancano le loro porte. S’illuminano antri lontani, caverne di roccia calda e accogliente. Bisbigli, segreti, sussurri… tutte le grandi tradizioni criptate e custodite, pronte per essere regalate al mondo.

Le Parole, a volte sono… specchi, mi riconducono a me stessa attraverso ciò che l’altro dice di sé.

A volte sono pozzi di san Patrizio, allora una sola parola apre mille e uno portali verso l’azzurro ma anche giù giù, verso il buio ma… là, in fondo, nel buio e nel freddo, sento… uno scorrere d’acqua, di freschezza che attira, mi fa sentire che posso, sì, posso andare in fondo ad una parola e in fondo a me stessa… anche salendo su un aereo con… non so chi, ad andare non so dove. Alla fine, una Parola incontrerò ed è sempre una mia parola.

Ecco, sembra che sto solo sul sedile di un aereo ma dove sono andata già? E il viaggio è appena cominciato! E ancora non sono sul mio rompighiaccio! Perché è là che sto andando. Io, sto andando a casa. Questo viaggio mi porta là nell’aurora, sto andando… dove nasce la luce. Dove io nasco, nuova, ogni giorno.

E ancora non ho detto una parola con chi mi sta accanto!

Perché perché, sai a questo punto... qui si attiva il mandala di luce!
Ogni parola, ogni sguardo… un rosone di mille colori, una sinfonia.
Ancora sto con gli occhi chiusi, ora me la gusto per me questa danza dei mandala, mi voglio impregnare di forze di luce perché… io voglio essere mandala, luce colore e musica!
Adesso proprio lo vedo, di più, lo sento e mi sento.

È un pannello luminoso… sono io.
Il mio corpo, la mia psiche, ogni attimo mille e mille pensieri, lo scorrere dell’energia colorata. Parti in luce, altre in ombra, la sorpresa, il lasciar fare all’impulso che, da solo, nasce dentro me e diventa i rossi i gialli, gli azzurri i viola di questa sinfonia che sono.
Io? Sì, insieme a tutti voi. I mandala comunicano sempre tra loro, è qui la loro forza, insieme alla sorgente in se stessi. Se dalla psiche viene il colore, dall’emozione viene l’intensità, la leggerezza e… l’attrazione che queste vivissime luci mi regalano. E… le emozioni, le attrazioni da dove nascono? Da tutti coloro che attorno a me brillano come me e con me interagiscono. Tutti!

Ma, dove sta ciò che mi dà l’emozione più intensa, di più, mi fa fare quel balzo che ho compiuto quando sono arrivata quaggiù, all’inverso? Ecco, la consapevolezza e la forza mi lanciano tra le stelle, diventano quella spirale sulla quale mi arrampico veloce e che ripercorre quel vortice in cui mi sono lanciata per arrivare qui, sulla Terra.
La consapevolezza viene dal… vedermi… sentirmi mandala di luce.
È il momento in cui la presenza a me stessa si apre, si apre la soglia e ciò che sono dentro è uno con ciò che sono fuori.
Tutto questo… è... nel momento in cui mi vedo e mi sento… mandala di luce.
Ora… dite tutto questo di voi. È così.
E io, interagisco con i miei fratelli, che si danno il nome di “mandala di luce”, “cavalieri della luce”, così.

- Ecco perché ho detto “joco… joco!”.

E, da lassù o laggiù, dove siamo Uno, è bastato un attimo di danza vicini e… e… siamo precipitati, dolce abisso! Giù giù, dentro noi stessi.
Un vortice, una corsa pazza e quasi inconsapevole, onde, particelle, atomi, molecole, dei semini ed un utero, sistemi e apparati… il mio corpo… il mio cervello, la mia rete di connessione… il respiro e caldi abbracci.

Io, davanti a tutto ho detto una “a”, ovvero ho messo chet, archetipo 9 - accogliere - cedere - lasciar fare e essere - insomma… il femminile e mi sono detta: “a.. a..”, “voglio essere donna!”.
Lui, lui che precipitava con me, s’è trovato un po’ spiazzato, non aveva scelta… gli sembrava, ma guardandosi meglio e poi, soprattutto… guardando me: “o” “o!” ha detto. È arrivato kaf, 11° arché - penetrare(!) - la freccia - la lancia… il maschile.
(Mi sto divertendo eh, a ritrovare questo deja-vu! mio figlio chiede: “Perché ridi da sola?”).
Ecco, è andata così, prima sono nata io… la donna, poi lui… l’uomo. La Genesi dice un po’ diversamente ma quello è solo uno stereotipo.
E così… dalla “a” di lei, è nata la “o” di lui.
Attenti, attenti con le parole, anzi, attenti già dalle lettere! Vi giocate la vita!

Quella letterina… “a”... “o”... sono arché.
Ora prova a dire lentamente: “Aaaa… rrrr..r…r …r … c..c..c… h..hhh…éé…ééé…” lo vedi l’arco? Traccialo con il braccio davanti a te… la vedi la letterina, il seme di luce brillante e fecondo che si dà un tempo e uno spazio nel percorso che il tuo braccio fa?
Stai conquistando un territorio nel vuoto del cielo dicendo e agendo una “a”, una “o” e qualsiasi altra lettera.

Prendi coscienza così, con questo semplice gesto, del tuo essere il creatore del tuo giorno.
La Parola è archè… ponte… seme tra l’abisso e il sole.
Ecco qua. Poi ci siamo paracadutati lontano, ma che vuoi che sia la distanza per chi… vascella nel cosmo!

Io, appena arrivata sulla Terra, mi sono divertita a fare la bambina impertinente e, quando ho fatto il passo di “diventare adulta” mi son tenuta ben aperta la porticina del “joco joco” e… non ho buttato la chiave!
Così, ogni tanto, mi “criptavo” mi avvolgevo nel mio mondo magico.
È da qui che un giorno… in fondo a me stessa ho percepito un “bip bip”… un “joco joco” sottile ma… unico, sicuro, inconfondibile!
È stato un attimo. Ho mollato tutto. Mi sono organizzata e ho seguito il fievole… di più, il piacevole “essere chiamata per nome” di quel suono.
Tanta nebbia, polvere, strade confuse, niente indicazioni di percorso… ma, qualcosa, dentro, “risuona” e risponde “bip bip”… “joco joco!”.

Così è accaduto! Davvero! È passato per un bip bip… passa per un impulso!
Ancora oggi. Ma è la vibrazione della mia vibrazione, per adesso. Tanto basta.
Ora… gioco… giochiamo quaggiù.
Come lassù. O è un quassù come laggiù?

“Bella stella dimmi tu? Cosa vedi da lassù?”.
“Da quassù io vedo te. Da quassù io vedo te…”.

Sì, così cantavo tempo fa mentre giocavo a palla in cortile. E poi:

“Bella stella dimmi tu cosa vedi da quaggiù?”.
“Da quaggiù io vedo te…”.

Ancora giochiamo… danziamo e cantiamo... ridacchiamo nel nostro mandala di luce.

Emma
5 maggio 2009

“BELLA STELLA DIMMI TU… COSA VEDI DA LASSÙ ?”…


Schemi
Stereotipi
Quadri concettuali
Abiti
Tradizioni
“così si fa…”, “così si usa…”

Modi contorti di leggere se stessi e le relazioni
La religione… del possesso, del controllo, del giudizio, del capo… questo il campo delle relazioni
Esigere da se stessi e dagli altri la… codificazione, ri-codificazione di codici di comportamento
Esigere che i figli mettano i piedi sulle orme dei padri…

Usare le comunicazioni per fortificare e difendere un “fortino” già superato e reso innocuo, se non ridicolo, da pensieri e agire universali (vedi tutti o quasi i media di oggi)
Fòttersi la libertà per l’immagine… il teatrino che ogni giorno mettiamo in scena

Vedere tutto questo dall’aereo, vedi le città.. le nazioni… sei ancora dentro gli schemi e le condizioni sopracitate…

Vederli dall’astronave li vedi da fuori, da quassù, o qua dentro

Ne vedi le origini oltre le strutture che si sono dati, soprattutto quelle che sembrano “uno” con le origini, invece sono ancora… proiezioni… interpretazioni, significati… applicati al fluire della vita e che spesso tentano di trattenere la vita.
Vedi le Parole dette che la psiche umana tenta di riattualizzare e riconfermare ogni volta che il sole rispunta all’alba.
S’è dimenticato, l’uomo, dell’attimo in cui s’è vissuto l’essere il “creatore” di quella Parola, di ogni Parola, e che, perciò, per ogni alba può darsi parole e creazioni nuove…

Cosa impossibile… fermare i pensieri e le parole… fermare l’amore, la vita.

Ma… dove sta la mia astronave? l’unica via di salvezza, ovvero di ri-sveglio?
Che significa… sono già sveglio, non ho bisogno di alcuna scuola, tantomeno iniziazione, né appartenenza
Basta che entro dentro di me e… mi ascolto, mi sento e…
ora solo sento e ascolto
che se mi parlo, parlo dal passato invece, prima devo arrivare nella mia Terra di mezzo
là, dove il Pensiero, la Parola fluttuano liberi e fecondi nella mia capacità di amare…
innanzitutto me stessa…

ciò che vogliamo essere e fare di più…
i pensieri, le lettere e le parole fondamentali viaggiano libere nell’etere, ovvero nel Tutto
nel quale sono sempre immersa

l’etere è… tutto l’amore, l’amorevolezza… l’accoglienza, la… maternità e paternità
il gioco ovvero il riconoscimento, la benedizione, le energie, il nutrimento
affinché ogni creazione possa venire alla luce e sostenersi.

L’astronave? Come trovo l’astronave in me? Come la accendo?

Basta che lo dici a te stesso… che te lo ripeti e che, ogni volta che ti viene una spinta, un desiderio, un’intuizione nuova, per quanto pazza possa essere, tu la segua, l’assecondi e la fai diventare vera, concreta e che te la godi.

Unica condizione… non voltarti indietro.

Ora lascia andare il passato, poi verrà, da solo, e verrà nuovo ad alimentare il tuo futuro.

Pian piano la tua astronave si sveglia e ti porta a spasso per il cosmo.
A questo punto è naturale, fisiologico, quel “te stesso” è tale solo se, insieme al ri-condurre ogni emozione e pensiero dentro te (vortice di energia in cui ti conosci e di cui ti nutri) anche li riversi fuori di te, in chi hai davanti (spirale di energia attraverso cui crei il mondo, giocando con il mondo ciò che sei).

Con la tua astronave viaggi… verso sempre nuove stelle e galassie… i tuoi più alti e creativi pensieri
i tuoi più corrispondenti e gaudenti… amori.


Bella Stella

… noi

5 maggio 2009

"Come se"... per me


dalle… mie!… stelle!
Da ciò che sono... dentro di me!
Di più, sono io che parlo a me stessa con il linguaggio… delle stelle!
Qui, volevo arrivare, io.
… …

Le parole vanno dentro dentro. Dentro me? dentro chi? Dentro se stesse, avvolgendosi in me. Solo allora io le posso “sentire”, “ascoltare”, “toccare”, solo dopo che esse hanno conquistato un territorio in me, si sono sprofondate, impiantate, lunghe e profonde in se stesse dentro la mia carne e il mio pensiero.

Allora il loro parlare è un risuonare …
ri-distribuire potenzialità …
e significati …
che sono spaziali, temporali …
sono forza …
sostanza ...
parole che sono agire …
fare …
costruire …
creare …

ri-conduco tutto questo alle mie strutture, sono le mie strutture intellettive che si stanno illuminando anche grazie a questa energia…
Le mie strutture intellettive che sono e possono molto più di quello che io credo di sapere di loro. Questa specie di… movimento di macchine… che con l’osservatore ora “punto”, ora metto davanti a me stessa e alla mia consapevolezza.
Avverto le strutture, stanno davanti a me e… sono io… e sento la forza. Sì perché sono mooooolto… incazzata e questa che è? forza… energia… sbruffetto di energia che mi serve, che m’importa come me la sono procurata, giocando senza regole, lo so. Importante che la veda e la sappia “usare”.

Questa ora mi serve.

L’avevo detto stamattina ancora nel dormiveglia, mente preparavo le carte di viaggio per questa giornata, che oggi volevo prendere visione e possesso delle mie strutture intellettive quelle che, nel mio linguaggio siglato - metaforico e criptato - ma neanche più tanto - chiamo la “Terra di mezzo”.

Ed è stato il primo cablogramma che stamattina ho inviato, appena arrivata nella sala comandi… “Mio caro... guardiamoci nelle… palle degli occhi… come abbiam fatto quel giorno, che io voglio andare là, che è un qua, in cui da sempre sto”. Ti ricordi? Uno sguardo che veniva da quale mondo? Ma che ha aperto uno squarcio che ancor oggi conduce tali messaggi. Ma ora qui, in questa connessione, io ci voglio stazionare “sentendo e sapendo” che sto dritta e piantata nelle mie strutture. Voglio sentirmi fremere in questa parte di me che sono. E so che ci posso arrivare da sola a conquistare i miei territori.

Sai quando dici “ho mal di pancia” sapendo che è della pancia che stai parlando perché ti senti uno con la tua pancia, o quando dici “ho fame- ho freddo”…
Ecco, ora voglio arrivare a dire “sento e so il mio pensare”... ma non quello logico matematico, musicale... poetico... ecc. ma quello... creante …

Sto in questo piedistallo che è la forza consapevole che sostiene e fa star ben dritta ogni parte di me, comincia da questo mazzo di energie che sono, passa per le particelle, gli atomi e via via fino a questo corpo e psiche, arriva al mio nome e va oltre, ai tanti nomi che mi do e, avanti, procede oltre… più dentro o più fuori, dipende da dove comincio a guardare me stessa.
Questa rete connettiva che sono, ciò che avvolge e permea ogni mia parte... questa, ora illumino con ‘sta forza… ovvero incazzatura che stamattina il mondo mi regala per avviare e far viaggiare la mia astronave.

Che le altre parti di me in cui sto sul mio piedistallo, quello esteriore, le parti che mi servono per capire e per discriminare il mondo, quello già creato, già conosciuto e che m’annoia… le parti che guardano al “fuori” vengono dopo e non mi interessano più di tanto ora.
Io… voglio… il mondo... di dentro.

Oggi voglio stare sulle mie strutture interiori più profonde e potenti… in .. con.. quelle che creano.
Stargate deve essere? Tu l’hai detto… e stargate sia... anzi già è.
Che l’unico spazio e tempo, l’unico cosmo da conquistare è quello dentro di me.
Qui c’è tutto... e non è poco.

E gli altri, il fuori di me, li incontrerò solo a partire da qua.
Dopo che, ogni attimo, ogni giorno, sono passata di qua, attivando questo osservatore, questo connettore unico, insostituibile, quello che mi dà il vero… il reale... non l’illusorio reale.

Sai che fanno a questo punto le… parole?

Le vedo… s’adagiano, s’allungano e distendono nel prato verde libero e infinito della mia psiche e, da qui, nel mio corpo. Tutto è, sempre, molto concreto. Le stelle sono fatte di… materia. La loro luce è… materia.
Le parole si sciolgono, diventano lettere, simboli, segni... ciascuna è un colore, una forza, una vibrazione, un filo d’erba, un soffio, un cratere, un torrente, una goccia d’acqua, un vapore, una fiammella, una formica, spirale o vortice di energia libera, un refolo di vento, un raggio di sole… uno sguardo, una carezza…
Mi stanno… inseminando.

Ecco, l’avevo detto… “mi volto verso me stessa e insemino il mio quotidiano. Solo io lo posso fare, fecondare la semente indivisa di me stessa alitando su ciò che ogni istante vivo”.
Tutte le Parole, tutte le Lettere che, libere, prendono possesso del prato, del bosco e del cielo, del mare che… sono.

Ma, stavolta, non sono parole vuote, non sono trombe spente e non suonate.
Queste parole hanno il suono, il respiro, l’energia, la consapevolezza e la forza dentro. Per se stesse. Risuonano.
Sono le parole come le usavano i grandi del passato, che passato non è, che è un qui e ora, per chi lo sa cogliere e lo sa cavalcare.
Parole-sostanza. Ekau.

E le avverto, le sento. Sperimento questo e poi, nelle interazioni col fuori di me, nel mondo, mi rendo subito conto se, ciò che si sta agendo, è un dire, un fare, un comunicare… una sostanza… un vuoto.. un nulla… fin qui tutto bene, tutto costruttivo e arrapante. Nutre e piace.
A volte, invece, sembrano parole ma, non le sento... allora sono dire, fare… aria… non conducono sostanze e… mi arrendo.
Sì, mi arrendo perché significa che debbo fermarmi un po’ con me stessa… lasciar ampliare lo spazio, il terreno dentro me in cui le parole vogliono venire ad abitare.
Per quanto mi riguarda è in me l’impasse, l’impotenza… l’infecondità della parola.
Sta nel fatto che, una parola nuova, un seme, non trova terreno sufficiente, adatto, fertile.
Direi, usando la metafora del prato per dire la mia psiche, non trova la sua “forma di creazione”, la sua “configurazione”.

Insomma, io devo lasciar fare all’inconscio in modo che dissodi, apra, liberi altra terra, altro spazio per parole nuove che qui vogliono abitare.
Il gioco non è in mano mia.

In fondo… le dinamiche son sempre quelle, si tratta di aggiornarle, tenerle sempre attive per gli eventi che vogliono attualizzarsi.
Gli archetipi? bè, qui vedo giocare chet, il femminile e kaf, il maschile.
Poi vedo fè, espansione e zain, andare dentro… andare all’eterno. Il gioco di fondo lo fa yod, la centratura insieme a scin… traslare, e nun... trasformare.

Oh, certo in una tale opera di ri-formulazione del mio “pensare” le funzioni fondamentali, meglio chiamate arché, sono tutte al lavoro!

Anzi, ora vedo anche un inciso più profondo. A livello della Parola che feconda… il gioco non è solo femminile-maschile, con chet e kaf… prima c’è una corrispondenza di archetipi più sottile e assolutamente necessaria ed è… chet-mem.
Il femminile chet, (9° arché) attiva l’alta parte di sé (il suo maschile recessivo) e va a scandagliare… mem… 13° arché, le acque da cui la vita trae origine e sostanze.
A questi livelli del creare va così… ogni esistenza feconda se stessa. L’anima feconda se stessa, kaf serve all’esterno per andare, grazie a waw (6° arché legame), grazie al gioco dell’attrazione, ad attingere nel pozzo delle proprie energie più profonde la forza per “voltarsi verso se stessa” e, con chet, fecondare la sua mem.

L’avevo detto che si sarebbero aperte le parti segrete del DNA, di noi stessi... quelle conoscenze criptate in fondo a noi, in quelle caverne e grotte in cui per millenni le abbiamo custodite.
È chiaro che… si tratta di altro e che, per aprirsi gli arché vogliono la dimensione... tempo, spazio, vibrazione, accoglienza, amore incondizionato, configurato nel modo che… permetta a loro di scendere, sciogliersi, adagiarsi, spaparacchiarsi, prendersela comoda, in questo prato-psiche. O è un cielo stellato? o una galassia?

Ma perché pensi che abbiamo scoperto Qumram, la stele di Rosetta, i geroglifici e quant’altro solo dopo secoli, solo in quel momento? Perché in quel momento l’umanità, tutta, aveva aperto la porta di quel messaggio dentro se stessa per cui, ecco che se l’è trovato fuori.
È sempre stato dentro di noi quel testo… e tutto va in questo modo.

Quando pensi che abbiamo visto che era la Terra che girava attorno al Sole? Peccato che poi ci siamo dimenticati di mantenere anche l’inverso che è il Sole che gira attorno a noi… Perché abbiamo conquistato questi movimenti interiori, questo interagire tra dentro e fuori noi stessi, solo allora abbiamo visto fuori ciò che s’è illuminato dentro.

E solo quando metteremo di nuovo tutti e due in funzione questi movimenti sia fuori che dentro: Terra e Sole – Sole e Terra, concentrazione ed espansione, ci equilibreremo fuori.
Che discorsi! Oh, lo sento il parlottare di quella parte di me beghina che continuamente dice: “ma questa chi si crede di essere! È pazza! che presunzione!” se la conosco questa parte! Per anni e anni mi sono creata fuori di me, personaggi che mi rimandavano questo e io… ci credevo.
Ma chi se ne fotte! delle mie voci interiori quando pretendono di trattenere il meglio di me stessa!

Io sento il brivido, l’ebbrezza della grandezza del mio universo! del mio volare alto! Me lo voglio permettere.
Sai che siamo noi? Detto dal massimo della mia consapevolezza e regalità di oggi… i servitori della Lettera, della Parola. Oh, che bella professione, missione, ideale, gioco… mi sono scelta quando sono venuta qui sulla Terra!

Ora, da questa postazione che sono… punto alla Terra di mezzo, in un attimo sono là, che è un qua… e, ora aspettati che da qui ti parli anzi, loro le Lettere, le Parole ti parlano.
Io, solo trasmetto.

Emma

5 maggio 2009